All’Abbazia di Loreto convegno di studi il 7 e 8 giugno: “La Maestà di Montevergine. Storia e restauro”
Pubblicato in data: 24/5/2013 alle ore:17:09 • Categoria: Cultura • Stampa ArticoloNella splendida cornice del Palazzo Abbaziale di Loreto di Mercogliano, nei giorni 7 e 8 giugno 2013, avrà luogo il convegno dal titolo “La Maestà di Montevergine. Storia e restauro”. Il recente restauro del dipinto su tavola di Montano d’Arezzo e la sua ricollocazione nella Cappella Antica, fatta realizzare nell’ultimo decennio del 1200 dalla famiglia d’Angiò, hanno indotto l’Abbazia di Montevergine, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Salerno e Avellino, ad organizzare un incontro di studi finalizzato alla conoscenza e valorizzazione di un’opera d’arte capitale nel panorama culturale dell’Italia Meridionale a cavallo tra XIII e XIV secolo, anche alla luce dei risultati emersi nelle fasi diagnostiche propedeutiche all’intervento di restauro. La carriera artistica di Montano d’Arezzo, di nascita centro italiana e di cultura assisiate – arrivò a Napoli su richiesta di Filippo Minutolo, arcivescovo di Napoli, perché decorasse la cappella di famiglia nel Duomo di Napoli – fu strettamente legata alla casa regnante angioina e alla città di Napoli tanto da essere definito nel documento del 1310 che attesta la sua opera a Montevergine, “familiare” di Filippo d’Angiò, principe di Taranto figlio e fratello di re. I d’Angiò, come già i Normanni e gli Svevi, furono munifici committenti di opere d’arte per il monastero di Montevergine, la cui influenza economica e religiosa si irradiava in tutto il Meridione d’Italia. La tavola raffigurante la Madonna di Montevergine venne collocata nella navata di destra della chiesa antica trasforma in cappella per volere degli Angiò occupando lo spazio delimitato dai primi tre intercolumni. Dopo l’incendio del 1611 ed il crollo del 1629 la cappella assunse la facies barocca, che tutt’ora conserva, sotto l’abbaziato di Pietro Danusio prima e di Gian Giacomo Giordano poi, su disegni dell’architetto napoletano Giovan Giacomo Conforto. La nuova chiesa, progettata nel 1947 dall’arch. Florestano di Fausto innestando le nuove fabbriche sull’asse trasversale della preesistente chiesa romanica, venne ultimata dopo alterne vicende nei primi anni Sessanta e culminò con il trasferimento dell’icone, nell’edificio moderno. In quegli anni il dipinto fu restaurato nei laboratori del Museo di Capodimonte e nel 1961 venne collocato al di sopra dell’altare monumentale della chiesa appena costruita. L’edificio rispondeva alle esigenze della Comunità Verginiana di disporre di una più ampia capacità ricettiva per ospitare la folla di pellegrini, che da secoli si recava supplice al Santuario di Montevergine per ottenere l’intercessione della Madonna, diventata sempre più numerosa, grazie anche alla costruzione della strada carrozzabile. La tavola di Montano d’Arezzo, per tradizione immagine sacra e miracolosa, nonostante le sue dimensioni, nella vastità degli spazi della chiesa nuova perdeva le sue prerogative iconiche e devozionali. Il dipinto era infatti collocato sull’altare maggiore a circa 15 m. dal piano di calpestio, distanza che rendeva impossibile il godimento dell’opera. Il progetto di ricollocazione della Maestà di Montevergine nella Basilica Antica, la cappella in cui Montano eseguì anche l’apparato decorativo – andato perduto durante l’intervento di trasformazione della cappella nella prima metà del Seicento – è maturato nella Comunità Verginiana per la consapevolezza che la decontestualizzazione della immagine della Madonna si è rivelata deludente dal punto di vista cultuale e devozionale soprattutto per la grande distanza che separava il pellegrino dall’ oggetto di venerazione. La Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Salerno ed Avellino ha accolto favorevolmente la proposta del Capitolo Abbaziale di spostamento dell’opera in considerazione che, lo sradicamento della tavola dal contesto per il quale era stata ideata e nel quale nel corso dei secoli si era storicizzata, sotto il profilo metodologico e della conservazione risultava non idoneo ai fini della tutela e della valorizzazione del bene. L’autorizzazione è stata subordinata all’elaborazione di un articolato progetto di studio e di ricerca che ha coinvolto figure di alto profilo professionale che si sono avvalse di indagini tecnico scientifiche propedeutiche allo spostamento della icone. Le indagini sono state eseguite in modo non invasivo e non distruttivo al fine di verificare e di analizzare con i dati acquisiti lo stato di salute della tavola dipinta in considerazione anche che da oltre cinquant’anni alcun controllo era mai stato effettuato sul dipinto collocato in un alloggiamento in cemento armato nella chiesa nuova