Questo pomeriggio la presentazione de “Il suono che parla”: presenti anche Don Vitaliano e Renato Curcio
Pubblicato in data: 21/11/2014 alle ore:07:45 • Categoria: Attualità, Cultura • Stampa ArticoloRecuperare il futuro dei ragazzi del carcere minorile di Airola attraverso la musica rap. E’ quanto raccontato all’interno del volume che sarà presentato questo pomeriggio alle ore 17.30 presso la Parrocchia S.S. Pietro e Paolo di Capocastello a Mercogliano il volume «Il suono che parla – Percorso di scrittura creativa ed espressione rap nel carcere minorile di Airola» dell’autrice e sociologa Rosa Vieni. Il libro, edito da Sensibili alle Foglie di Renato Curcio, rappresenta un’analisi socio-educativa realizzata dall’autrice, che ha lavorato nel 2011 e nel 2012 a stretto contatto con 24 ragazzi del carcere minorile di Airola, in provincia di Benevento.
Oltre all’autrice, interverranno questo pomeriggio, all’incontro moderato da Domenico Ruggiano, il parroco della Chiesa di S.S. Pietro e Paolo di Capocastello Don Vitaliano Della Sala, Francesco Vespasiano docente di Sociologia Università Degli Studi del Sannio e l’editore di Sensibili alla Foglie Renato Curcio.
«La musica è uno straordinario strumento da utilizzare a favore di questi ragazzi – afferma Don Vitaliano -. Io stesso ho portato da loro diverse volte diversi cantanti tra cui i 99Posse ed Enzo Avitabile. L’aiuto della musica e quella rap in particolare rappresenta una valida distrazione, la loro attenzione è attirata da qualcosa che li porta lontano dai reati che hanno commesso e che li trattengono in carcere o dalle problematiche delle loro famiglie». Di qui la possibilità di poter recuperare e, in qualche modo, raddrizzare il proprio percorso di vita: «in questo senso la presenza di Renato Curcio, uno dei fondatori delle Brigate Rosse, che ora pubblica libri e ha cambiato vita è un modo per dire che ciò è possibile e che una persona, con un passato difficile, possa essere recuperata».
«Un’esperienza educativa durata due anni svolta grazie all’aiuto di amici rapper per creare un laboratorio di musica – spiega l’autrice -. Dal punto di vista strettamente sociologico, durante il corso di rap, il clima nei diversi gruppi è migliorato al punto da vedere azzerati i rapporti disciplinari». Alla base di questa scelta la convinzione che «questo linguaggio potesse avere presa sui ragazzi perché da una parte è catalizzatore di rabbia e desideri e dall’altra contribuisce a creare senso di gruppo e unione tra i ragazzi stessi e i cantanti spesso accomunati da un passato simile raccontato poi nei testi delle loro canzoni». Hanno partecipato alla prima fase dell’iniziativa anche Rocco Hunt di Salerno, Shark Emcee di Benevento, Fabio Mef e Doc Shock di Altavilla Irpina. «E’ un lavoro che parte da lontano – conclude -, già nel 2009 sono stati invitati artisti che hanno incontrato e parlato con i ragazzi per parlare della loro storia personale, tra tutti ricordo quello con Zulù che ha rappresentato uno degli incontri più incisivi. Nella fase finale, infine, ha partecipato anche il rapper napoletano Lucariello che ha inciso con loro anche un disco amatoriale».