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“L’Irpinia senza ali e sogni recuperi la coscienza di sé”: la lucida analisi di “Matria” di Generoso Picone

Pubblicato in data: 12/2/2016 alle ore:11:03 • Categoria: CulturaStampa Articolo

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«La politica deve recuperare una sua leggerezza» parte da qui la riflessione del giornalista de Il Mattino Generoso Picone in occasione della presentazione del proprio libro nella sala consiliare di Mercogliano. “Matria, Avellino e l’Irpinia: un esame di coscienza”  è stato il tema al centro dell’incontro-dibattito di ieri sera dedicato alla rassegna “Libri in Comune” promossa dall’assessorato alla Cultura guidato da Lucia Sbrescia.
«Quando si scrive un libro – ha esordito l’autore – c’è un lavoro importante che attiene al lavoro. E’ interessante valutare che cosa sia rimasto dell’idea su cui il libro si è voluto poggiare, se è stato recepito. E’ una verifica utile oggi che mi vien consegnata dal Comune di Mercogliano. Una valutazione ulteriore decisamente utile per chi ha lavorato a questo lavoro». Ai ragazzi presenti che chiedono il perché di questo libro risponde: « Ho lavorato per 25 anni a Napoli con una breve frequentazione di fatti irpini come amministratore degli anni 90. Dal 2009 ho ripreso contatti per mia volontà con l’Irpinia misurandomi al netto dei miei esordi misurandomi con le questioni irpine, con un territorio familiare. E una serie di nodi hanno fatto nascere in me degli interrogativi. Ho tentato di comprendere che cosa fosse l’Irpinia, che pezzo del Mezzogiorno fosse in quegli anni del terremoto». Il sisma dell’80 viene così definito «uno spartiacque importante per quelli della nostra età che ha diviso la storia in un prima e un dopo. Una cosa che ti segna in maniera intensa». Di qui è nata l’idea insieme ad un altro irpino, Ugo Morelli, «un sociologo della mente che, dopo il terremoto del ‘62  è andato a vivere fuori portandosi dentro la ferita della sua terra. Non volevo cadere nel lamento di generis in cui è tipico cadere in queste parti. Volevo evitare di ragionare d’Irpinia in questi termini. Così ci siamo scambiate poche lunghe lettere, come quella che fa da introduzione al testo e che mette a fuoco poche questioni di un’Irpinia di come viene fuori. Ne emerge un mondo diverso rispetto a quello di tanti anni fa».

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Cinque anni di vicende irpine fissate in 23 articoli per un’attenta riflessione su quanto avvenuto nella nostra provincia privata di ali, come evoca la copertina del libro. Fatti e riflessioni letti attraverso una griglia interpretativa fatta di quattro nodi individuati come i quattro capitoli del libro: «La memoria. Penso a quando ci mettiamo il vestito per la festa in cerimonie ed elaborazioni della storia in comuni che sono stati offesi dalla ricostruzione che ha distrutto completamente la memoria. Montoro come Bisaccia dove la memoria è stata violentata da costruzioni orribili. Questa è una provincia intossicata dalla politica che pensiamo possa risolvere tutti i nostri problemi, dalle riunioni condominiali alla disoccupazione. Immaginiamo una politica metafisica che possa risolvere ogni problema». Secondo Picone questa è una concezione «tutta meridionale di consegnare i nostri destini senza avere un ruolo propositivo e di partecipazione attiva mentre la politica deve recuperare la sua leggerezza, facendo diecimila passi indietro, e il concetto di gratitudine ma non intesa come stabilire un senso di riconoscimento verso chi ti dà qualcosa».
La politica, secondo tema, deve essere «una scienza che governa i destini degli uomini immaginando che non abbiano un nome e cognome. Invece in questa provincia immaginiamo che la politica debba risolvere ancora tutto perché per decenni abbiamo immaginato ciò». Questo è giustificabile poiché «nel Mezzogiorno più povero la forte arretratezza dell’Irpinia suona in maniera inquietante. Non si può costruire una forma di partecipazione su questo concetto di gratitudine perché avremo una politica che non può far nulla, non è più possibile che una politica ti assista dalla culla alla tomba. Oggi la politica è il nulla dopo l’implosione». Al giorno d’oggi, quindi, «la vera politica la fanno gli amministratori, chi amministra il territorio senza alcuna intermediazione. Penso alla figura importante di Antonio Di Nunno con cui ho lavorato. Di Nunno è stato il sindaco che ha superato l’intermediazione partitica e si è messo in sintonia con la gente e non con i bisogni, sapendo anche imporsi e dire no. Ma l’adesione che la comunità ha dato a Di Nunno è nella trasparenza del suo comportamento, quello di un amministratore che pensava alla comunità e alla scelta delle migliori cose per essa, come ad esempio affidare il ridisegno della città a Cagnardi, un grande architetto di fama nazionale». Un ricordo nostalgico di Di Nunno «amato più oggi che in vita».
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Un altro argomento è quello di una città «simbolo di una provincia ferma in un dejavu, in una sorta di tempo che gira su se stesso, un tempo immobile che non è una prerogativa soltanto irpina. Questa è una città che non si ama: che vuole essere assistita, figlia di quel sentimento malsano della politica che faccia qualcosa per te. Una città che non ha avuto cura per se stessa per cui oggi si vive questa dimensione di grande crisi, ma perdendo l’orgoglio si perde anche la dignità. Se si ama un luogo lo si può cambiare, questa è una città che non ha un sentimento sognante di affetto tranne quello di una persona che si chiama Antonio Di Nunno». Ma il pensiero va anche ad Antonio Aurigemma e Federico Biondi «la loro dimensione era fare buona politica, mettersi in sintonia con i bisogni della comunità e dare il meglio in termini di risposte».
Il quarto tema del libro è l’auto-rappresentazione: «In questi anni c’è stata una particolare rappresentazione del territorio perché sono successe due cose. Da un lato una tragedia come quella del terremoto che non dà la possibilità di essere raccontata: siamo stati pietrificati rispetto a questo dramma così forte con 3mila morti ma purtroppo, in questi anni, l’abbiamo ridotta e banalizzata rispetto al piccolo capitolo dell’inchiesta delle miseria degli anni ’80. Non possiamo ridurre il terremoto d’Irpinia nel canone giornalistico dell’Irpiniagate. Un evento che ha trasformato completamente il territorio accelerando il tempo, facendo guadagnare il tempo ma saltando il processo di governare la modernizzazione». Un’accelerazione di modernità ha portato a calpestare il territorio: «una ferita che molti narratori irpini, come Vinicio Capossela, si portano dentro come idea di un’Irpinia dalla modernità accelerata. Auto-rappresentazione significa anche entrare nelle storie irpine dal grande sconvolgimento raccontate da Franco Festa ed Emilia Cirillo».
Ma “Matria” non è solo un libro che raccoglie articoli ma una lettura attenta che ruota intorno a questi quattro capitoli: « Il titolo Matria nasce alla fine da una catarsi tra madre e patria – spiega l’autore -. Sicuramente c’è nella narrazione dei luoghi un sentimento antirpino e non arcirpino. Un esame di coscienza di chi entra. Questo libro non ha una ricetta ma penso che, in questo caso, la comprensione sia più utile della ricerca. Non voglio dare un giudizio negativo su chi si genuflette verso la politica ma nutro fastidio vero la lamentazione».
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Ad introdurre i lavori il sindaco Massimiliano Carullo: «Ringrazio il direttore de Il Mattino per essere qui per la seconda volta nel giro di pochi giorni per un momento di confronto e dibattito. Oltre l’autore del libro, abbiamo qui anche un altro ospite d’onore, il fratello dell’eroe Salvo D’Acquisto, fulgido esempio di esempio civile. Alessandro è venuto da Napoli per non mancare a quest’appuntamento».  Poi il ricordo della compianta figura del primo cittadino di Avellino, Antonio Di Nunno: «Il sindaco è chi ascolta le problematiche ed è vicino alla gente, non quando riceve per appuntamento. E Di Nunno è stato tutto questo. Ognuno di noi per la propria professione riesce ad acquisire la dignità di essere uomo libero, Di Nunno è stato questo e lo ha pagato anche con la salute. La mia è un’amministrazione libera con grandi sacrifici personali ed anche economici. Mi auguro di aver un decimo della dignità che ha avuto Di Nunno nella mia straordinaria esperienza anche per ripagare il sacrificio di un genitore che ho perso molto giovane».
Poi, dopo un intermezzo di arpa l’intervento di Lucia Sbrescia: «Siamo giunti all’ottavo appuntamento di una rassegna che si sta affermando sempre più e che diventi sempre più preponderane. Un incontro che contribuisce ad accrescere la cultura in città. Tra le righe emerge il quadro di una memoria. Dovunque ci sia stato un evento calamitoso scarseggiano anche le parole. L’autore invece esamina  le ricchezza della lingua madre che è morta in quel giorno. E’ un atlante per conoscere l’Irpinia di quel tempo come quella di Ettore Scola, piena di contraddizioni ma ricca di peculiarità».
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Presenti anche lo storico Andrea Massaro che definisce questo volume «lo specchio fedele di una comunità, molte delle sue riflessioni sono legate alla tragedia più che trentennale del terremoto del 1980. Quello del ‘62 non è servito a far memoria degli errori che invece si sono aggravati» e il professore Giuseppe Moricola che si è dato ad una lunga e significativa riflessione: «a Generoso Picone mi lega un’esperienza garibaldina, io alla Provincia lui al Comune, entrambi con pochi soldi. Il libro è molto bello ed affascinante perché la penna lo rende tale. Sa intrigare con una capacità di spaziare nella stessa complessità di costruzione del libro senza una canonica introduzione e conclusione». Un libro, dunque, come analisi dello stato di salute di questa provincia: «Mi sono soffermato sul titolo, su come questo termine racchiuda cuore e intelletto. Non è un semplice ribadire un’identità ma è la capacità dell’autore di avere dentro di sé la coordinata generale di un’idea di Irpinia prima del territorio e riconoscere, attraverso la sua sensibilità, cosa è diventata nel tempo. Lo spartiacque è il terremoto». Un’indagine forte ed attenta sull’Irpinia che abbiamo sotto gli occhi ma di cui non siamo contenti: «Dentro questo libro ho visto esprimersi pienamente l’idea dell’antirpinia attraverso un’elaborazione scevra da pregiudizi. Ed è questo il valore più interessante che queste libro di Generoso ci lascia. E’ qualcosa di più, lascia l’amaro in bocca, induce ad una riflessione ancora più forte sullo stato e sulla situazione dell’Irpinia». Ed è qui l’idea che il lettore si fa: «l’impressione che ho avuto è un tentativo di misurare lo stato di salute di questo Paese che come punto d’approdo lascia molti interrogativi sul cosa fare. Questo Mezzogiorno è una sorta di Araba Fenice rachitica ma che sopravvive». Su questo nasce un interrogativo: come mai un terremoto, da molti visto come un’opportunità ha segnato, invece, qui un arretramento? « Il terremoto ha riprodotto un processo di aggiustamento tra passato e modernità che si è innestato su un corpo debole – prosegue Moricola -. E’ questa l’Irpinia del dopo sisma drogato da un’immensa quantità di denaro che ha lasciato dietro l’idea di essere all’interno di una modernità non costruita e in cui gli eventi tradizionali sono stati sconquassati». Rispetto ad un tale scenario «Generoso Picone fornisce istruzioni per l’uso per come avvicinarsi ma non fornisce soluzioni per il caso. Perciò il quadro diventa sempre più frastagliato e inquietante. Il terremoto come grande pioggia di soldi ed industrializzazione dall’alto che legittimava una classe dirigente di broker o intermediari. Noi invece avremmo dovuto mobilitare risorse latenti mentre invece c’è stato un cortocircuito con il territorio. L’Irpinia avrebbe bisogno di ben altro, c’è uno sfilacciamento per cui dobbiamo guardare a questa terra e non immaginare che sia un’isola felice. Siamo dentro un pezzo di territorio che ha bisogno del contributo di tutti e di un’analisi acuta e amara».
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La Professoressa Mirella Napodano ha poi letto alcuni passi del libro: «Una scrittura bellissima, una sferzata, una denuncia che oscilla ai miei occhi come l’urlo di Munch. Il libro di Generoso Picone vuole essere una riscossa. Non propone ricette e non ha la velleità di risolvere problemi ma passa a noi il testimone. Adesso ci troviamo in una deriva pericolosa che ci allontana dalle istituzioni e dalla società civile, facciamo l’impossibile per perdere la dignità. Ma, da cittadini, dobbiamo capire che qui in Irpinia l’uomo non è stato trattato come un fine ma come un mezzo, utilizzato con delle bassezze che hanno portato ad uno squallore generale. La denuncia di Generoso è davvero notevole. E’ un discorso di carenza civile mi sembra che in certe pagine voglia chiedere lumi a queste persone perché, davvero, è in gioco il nostro futuro». Di qui l’appello a fare tesoro di questo volume: «Speriamo la sferzata di Generoso Picone ci spinga a non far più parte di questo gregge ma di costruire un’identità e arrivare al riscatto di questa terra dell’osso. Siamo dell’osso, e non più della polpa, ma dobbiamo esserlo con dignità». Infine anche la professoressa Sofia Ocone evidenzia questa eccezionalità letteraria: «Ha la capacità di cogliere il senso di appartenenza ad una terra. Noi apparteniamo ad una era in cui l’identità si può smarrire ma immergendosi nella terra si può sognare la bellezza di una città come fece Di Nunno che, come i grandi e veri sognatori, la stava realizzando». In aula i giovani studenti dell’Amabile e dell’Agrario con la professoressa Limongiello, il presidente del Coni Giuseppe Saviano, lo scrittore Franco Festa, Pierino De GruttolaUgo Santinelli.

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